Agitazione, mani sudate, il cuore che batte forte.
E la voglia di scappare o rintanarsi in casa propria, al sicuro.
Sono i sintomi dell'ansia che ci assale in vista di una scadenza importante, un colloquio di lavoro, un esame o semplicemente un incontro significativo.
E che spesso cerchiamo di bloccare ricorrendo a un farmaco.
Perché l'ansia è una malattia. Una forma di nevrosi, come specifica il 'Dsm IV', il manuale diagnostico della psichiatria mondiale. Un problema da correggere.
Sempre?
O, non sarà, invece, come sostengono oggi alcuni ricercatori, che l'ansia ci aiuta, molto spesso, a vivere?
Giampaolo Perna, psichiatra responsabile del Centro disturbi d'ansia del San Raffaele di Milano, nel saggio "Ansia. Come uscire dalla gabbia e riprendersi la vita" (Piemme 2009), spiega:
"Batticuore e salivazione azzerata sono segnali che il nostro organismo sta dando il massimo. L'ansia - l'allerta - è una funzione del cervello, necessaria per affrontare le emergenze. E le sensazioni spiacevoli sono il prezzo da pagare per ottenere il risultato desiderato.
Dobbiamo immaginare la curva delle nostre prestazioni come una U rovesciata.
È vero che l'eccesso di ansia può paralizzarci, ma una totale assenza di ansia corrisponde a una performance altrettanto negativa E non basta: un temperamento particolarmente poco ansioso può portarci a minimizzare il pericolo, affrontando rischi inutili. L'ansia può essere un'alleata preziosa.
Cercare di ridurre il disagio con un ansiolitico vuol dire rinunciare a dare il massimo: in questi casi le benzodiazepine non sono solo inutili, ma anche dannose".
Eppure i farmaci che combattono gli stati ansiosi sono tra i più diffusi.
Perché il rischio è che le persone vi ricorrano anche di fronte a un semplice quanto passeggero disagio che si potrebbe affrontare utilizzando le normali risorse umane.
Insomma, decidere quando e come trattare i sintomi dell'ansia è una faccenda seria e delicata, perché, se da un lato il rischio abuso è sempre dietro l'angolo, dall'altro in molti casi intervenire è indispensabile.
Un po' di batticuore di fronte a una persona speciale è normale, non avere amici o non trovare un partner perché ci è impossibile parlare con un estraneo, no.
"Ci sono persone che soffrono di un disturbo d'ansia vero e proprio, e magari non si curano perché credono che basti la buona volontà per uscirne, o che sia una questione solo psicologica.
Mentre in questi casi si tratta di una vera e propria malattia legata a un malfunzionamento di sistemi cerebrali. Che sarebbe scorretto ridurre a semplici conseguenze di esperienze del passato."
Ma quando è lecito parlare di patologia e non di ansia normale, fisiologica?
In psichiatria non è facile distinguere tra normalità e patologia, e anche il vissuto individuale è influenzato dalle circostanze: chi vive un'esistenza tranquilla in una città di provincia può permettersi livelli d'ansia che sarebbero invalidanti per un operatore di Borsa.
"Proprio per questo è importante che la diagnosi arrivi da uno specialista".
Il criterio più oggettivo è quello legato alle conseguenze dello stato d'ansia. La domanda da porsi è allora
"Ci impedisce o no di funzionare?"
"Se uno studente passa la notte in bianco e magari vomita prima degli esami, ma torna a casa con un bel voto, non c'è proprio niente da curare: il discorso è diverso se l'ansia lo paralizza, impedendogli di sostenere la prova. In questo caso la sofferenza diventa inutile, anzi è di ostacolo".
A complicare le cose c'è il fatto che il manuale di psichiatria che si utilizza per classificare le forme patologiche riunisce sotto la definizione 'disturbi di ansia' tutte le patologie accomunate da questo sintomo.
Ci sono le fobie, paure esagerate di qualcosa di esterno da sé come un animale o una situazione specifica come parlare in pubblico o esplorare spazi aperti; gli attacchi di panico che rappresentano una crisi acuta improvvisa di malessere fisico e psichico; le ossessioni di chi per ritrovare la tranquillità è costretto ad azioni ripetute o rituali, come disporre gli oggetti sulla scrivania secondo un ordine minuzioso e immutabile o lavarsi continuamente le mani per cancellare uno sporco inesistente.
E poi c'è la depressione, che spesso accompagna l'ansia, tanto da fare pensare che si tratti di un disturbo unico. Come conferma uno studio recente apparso sul British Journal of Psychiatry:
"L'ansia pura è relativamente rara, chi si rivolge al medico di famiglia per un disturbo emotivo di solito manifesta insieme sintomi ansiosi e depressione. Può anche trattarsi di patologie diverse, ma i due sintomi compaiono insieme, come pioggia e vento durante un temporale".
Peraltro, come non deprimersi quando si soffre di attacchi di panico o altri disturbi che limitano l'autonomia e creano continua tensione e paura di stare male?
Su perché questo accada, gli scienziati non hanno le idee chiare.
"È probabile che le aree cerebrali coinvolte siamo amigdala e tronco encefalico, e diversi studi legano la reazione ansiosa al polimorfismo dei geni che controllano la serotonina.
Non solo, l'epidemiologia sembra indicare che a soffrirne siano individui che hanno un organismo troppo sensibile e poco adattabile alle variazioni.
L'idea di fondo è che ci siano persone che hanno sistemi di controllo delle funzioni di base del corpo, respirazione, cuore ed equilibrio, più fragili del normale. Una fragilità che farebbe scattare alcuni allarmi, che si manifestano proprio con l'attacco di panico."
In ogni caso i disturbi di ansia sembrano essere in aumento.
E i tecnici sono convinti che abbiano comunque una componente sociale legata agli stili di vita della modernità.
Ma qualunque ne sia l'origine, quando il disturbo diventa intollerabile il problema deve essere risolto. Come?
Corrado Barbui, ricercatore all'Università di Verona, spiega:
"La soluzione più valida è quella di una strategia che aiuti ad affrontare il problema con una terapia cognitivo comportamentale, non a caso indicata in paesi come l'Inghilterra come il trattamento di elezione per l'ansia.
Purtroppo, però, spesso è più semplice e anche più economico prescrivere un farmaco.
Che invece sarebbe meglio utilizzare in appoggio alla psicoterapia, o se questa non funziona".
La psicoterapia cognitivo comportamentale, di fatto, è l'unica che ha sufficienti prove scientifiche di efficacia, ma anche altre psicoterapie potrebbero essere d'aiuto.
I medici di base, però, continuano a ricorrere ampiamente agli ansiolitici, le vecchie benzodiazepine che restano uno dei farmaci più diffusi.
Fino a 50 anni fa erano la terapia di elezione.
Il problema è che i pazienti tendono ad affezionarsi, a usarli in modo scorretto e troppo a lungo.
A rischio di effetti collaterali importanti, e di generare dipendenza fisiologica e prima di tutto psicologica. Ci sono persone che non escono se non hanno con loro la boccetta di ansiolitico: magari non la usano, ma non riescono a lasciarla.
Invece il carnet di possibilità per chi abbia bisogno di una terapia farmacologica è più vasto.
E spesso il primo lavoro degli psichiatri di fronte a un'ansia patologica è quello di convincere i pazienti a lasciar perdere le amate benzodiazepine.
Possono certamente essere utili come sintomatico, ma non sono più la terapia d'elezione.
E chi ha bisogno di qualcosa da prendere in caso di necessità potrebbe meglio ricorrere a un rimedio a base di erbe come camomilla, passiflora o valeriana.
Soprattutto, bisogna mettersi in movimento:
"Un allenamento aerobico ha un effetto preventivo anti-panico e anti-ansia. Non servono maratone, bastano 20-30 minuti tre volte a settimana."