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La memoria collettiva

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view post Posted on 11/4/2013, 11:30     +1   -1
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La memoria collettiva


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Il ricordo, o l'insieme dei ricordi, più o meno consci,
di un'esperienza vissuta o mitizzata da una comunità
costituiscono la sua memoria collettiva
della cui identità fa parte integrante
il sentimento del passato.




Maurice Halbwachs (1950) è forse stato il primo ad averne fatto una trattazione sistematica, distinguendo, accanto ad una memoria personale, una memoria collettiva.



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Nella memoria personale sono raccolti sia ricordi di eventi che riguardano la vita dell’individuo, sia ricordi comuni e condivisi con altri membri della comunità. Questi ricordi condivisi, tuttavia, vengono “visti” solo da un punto di vista soggettivo e considerati nella misura in cui interessano la propria individualità (ad esempio, per un cinquantenne d’oggi il Sessantotto può aver caratterizzato il momento della sua presa di coscienza politica).
Nella memoria collettiva, che può essere definita un tipo di memoria “socialmente distribuita”, vengono invece conservati dei frammenti che riguardano la collettività.
La persona, a questo livello, è semplicemente membro di un gruppo e contribuisce ad evocare e a tenere in vita dei ricordi impersonali nella misura in cui questi interessano tutto il gruppo (il Sessantotto, in questo caso, come insieme di eventi che hanno condotto alla rivoluzione dei costumi).
La memoria collettiva si fonda prevalentemente su storie orali e assolve a diverse funzioni:
1) permette a chi diventa membro di una comunità di interiorirzzarne le tradizioni;
2) facilita l’identificazione sociale;
3) suscita un senso di nostalgia per il passato, che viene sopravvalutato rispetto al presente e, nel far questo, rafforza il valore della storia comune;
4) spinge a ricostruire il passato e a valutare i ricordi in modo da giustificare i bisogni e gli scopi presenti (Paez, Basabe e Gonzales, 1997).
Secondo Halbwachs, memoria personale e memoria collettiva hanno caratteristiche diverse di funzionamento e l’individuo, a seconda che si muova sull'uno o sull'altro versante, tende ad adottare due atteggiamenti diversi.
La memoria personale è più intenzionale, è maggiormente vincolata a limiti spazio-temporali, è più legata a ciò che si è visto o fatto, è autobiografica.
La memoria collettiva invece è più estensionale, più schematica e sintetica, più legata alla memoria altrui.
I due tipi di memoria sono tuttavia strettamente collegati e spesso si confondono perché ogni cambiamento in ciascuno di essi è assimilato e trasformato dall'altro.



Ricordi Flashbulb


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Un esempio chiaro che illustra come i due tipi di memoria interagiscano è costituito dai ricordi “flashbulb”.
Questi sono ricordi dotati di una vividezza particolare, tale da farli apparire come immagini chiare e distinte, quasi fotografiche, di una certa scena alla quale la persona ha assistito.
Nella “fotografia” è tuttavia incluso, oltre alla scena, anche il soggetto stesso che ad essa assiste.
Il fatto che il ricordo sembri accurato non significa però che lo sia realmente.
Neisser (1982) ritiene che questo tipo di ricordo si stabilisca successivamente, una volta che il suo significato sociale è diventato chiaro.
Esempi molto studiati di ricordi flashbulb sono quelli che concernono situazioni importanti della vita politica di un popolo, come ad esempio il giorno in cui la televisione trasmise la notizia dell'attentato alle Torri Gemelle (11/09/2001)
La persona ricorda chiaramente i particolari della situazione, ivi comprese le proprie reazioni.
Neisser considera i ricordi flashbulb come pietre miliari della storia nazionale, perché si riferiscono a momenti della vita in cui la storia dell’individuo “è dentro” la storia della collettività.
L’esperienza di “esserci” quando un evento importante accade costituisce un legame tra identità della persona e storia della comunità.
Nel momento in cui la persona percepisce il proprio “essere dentro” quell’avvenimento pubblico, sente di far parte di una collettività, ne parla con altri e in tal modo lega la vicenda personale ad un momento cruciale del proprio gruppo sociale, contribuendo a costruire una versione più complessa della storia della propria comunità.



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Adolescenza e memoria collettiva


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L’età dai 12 ai 25 anni è, secondo Conway (1997), quella nella quale vengono archiviate la maggior parte delle esperienze relative alla vita della collettività. Perché?

Le ragioni sono varie e diverse. :fu fi:

Prima di tutto, durante l’adolescenza accadono tanti eventi importanti: c’è lo sviluppo del pensiero formale e la pubertà, la scelta tra indirizzi di studio diversi nella ricerca di una propria individuazione, il fascino esercitato dall’altro sesso e le prime esperienze.

Durante l’adolescenza si impara a guidare e si prende la patente, ci si comincia a spostare con grande autonomia, si vede riconosciuto il diritto di essere cittadini a tutti gli effetti con il voto.

Durante la tarda adolescenza si può andare sotto le armi, conseguire la laurea, trovare lavoro, mettere su famiglia.



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Inoltre la vita dell’adolescente non è solo caratterizzata da una nuova esperienza con se stesso, la scoperta della profondità della propria vita interiore, ma è anche una grande e spettacolare apertura verso il mondo attraverso l’appartenenza a gruppi diversi, se non proprio la militanza in associazioni, movimenti o partiti.

Soprattutto l’adolescente guarda e giudica cosa accade fuori di sé e, attraverso il pensiero ipotetico deduttivo, immagina possibili mondi alternativi.

Non deve sorprendere dunque che l’adolescenza sia un’età così sensibile agli eventi sociali e a ciò che può accomunare classi intere di persone.

Anche se i molti eventi che la scandiscono sembrano avere un significato specifico e relativo alla singola persona, come ad esempio il primo bacio, tuttavia questi eventi strettamente personali sono inseriti in categorie di eventi più generali, del tipo “il primo amore non si scorda mai”, che riguardano più o meno tutti gli adolescenti.

Così l’età del primo amore, nella quale l’adolescente confida il suo segreto e i suoi turbamenti agli amici più intimi, prova le prime forti emozioni sessuali o racconta spavaldamente le proprie avventure, diventa un “genere”.

Tutto ciò spiega perché gli eventi accaduti durante l’adolescenza siano quelli che con più facilità si richiamano alla memoria e perché i ricordi dell’adulto riguardino prevalentemente tale età.

Il che ha almeno tre importanti implicazioni. Vediamole una ad una... ^_^



1. Ricordi e racconti
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Prima di tutto una memoria individuale e collettiva più sviluppate riguardo all’adolescenza significano che ci sono più cose da raccontare riguardo a questa età.

Raccontare, a sua volta, favorisce il mantenimento del ricordo. Non come una stampa fotostatica, però.

Raccontare qualcosa a qualcuno non è un processo a senso unico: il modo di raccontare viene influenzato dal tipo di rapporto con la persona che ascolta e interloquisce.

Infatti il modo di raccontare che viene arricchito da quella specifica situazione può portare il narratore a reinterpretare gli eventi sotto una nuova luce e quindi a vederli e a ricordarli in modo diverso.

C’è quindi un’interazione continua tra ricordare e raccontare.

Il ricordo di esperienze viene strutturato secondo certe forme e quindi influenza il modo in cui uno racconta quelle esperienze, ma la situazione in cui uno si trova a raccontare, gli scopi che si prefigge, la figura del suo interlocutore e il suo atteggiamento portano anche a selezionare e a ristrutturare il ricordo.



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2. La dimensione del “noi”

Una seconda conseguenza riguarda specificamente quello che abbiamo detto nel precedente articolo a proposito della nozione di generazione.

Ricordare eventi dell’adolescenza significa non solo avere presenti i turbamenti e le scoperte interiori fatte in quella età, ma anche ricordare noi stessi in mezzo agli altri, in un turbinio di avvenimenti che hanno riguardato l’intera società.

Si ricorda quello che gli altri simili a noi facevano, si riesce a distinguere i ricordi relativi a coloro che frequentavamo, ma anche quelli relativi a coloro che abbiamo solo visto in televisione.

Così, l’«io mi ricordo che facevo…» diventa un «io mi ricordo che noi facevamo…», dove il “noi” assume un senso ampio e trasversale che giunge ad includere persone della stessa età che (approssimativamente) credevano nella stesse cose e che hanno vissuto le stesse avventure.

In una parola, il “noi” assume il significato di un’appartenenza generazionale, che può essere simboleggiata da un oggetto di culto, un libro, una canzone…, come poc'anzi abbiamo visto accadere nella spiaggia petrosa dell’isola greca.



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3. Il rapporto fra padre e figlio adolescente

Anche se genitore e adolescente possono, ognuno per la sua parte, rappresentare in modo poco “tipico” la propria generazione, essi avranno tuttavia sempre qualcosa di caratteristico che li contraddistingue.


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Da una parte abbiamo un adolescente che attraversa l’età così ricca di avvenimenti che abbiamo descritto: l’età della formazione della memoria collettiva, in cui ci si comincia a considerare come parte di una schiera di individui e in cui pertanto non si può non essere attratti da quello che accade intorno a noi e in particolare da quelli della nostra età e del nostro “ambiente”.
Dall’altro abbiamo una persona di mezza età, i cui ricordi sono particolarmente centrati sulla propria adolescenza, sia perché, come detto, la memoria collettiva riguarda eventi accaduti durante l’adolescenza, sia perché quello che il genitore ha davanti, suo figlio, è l’adolescenza personificata, almeno nel modo in cui quest’ultimo la può o la sa personificare.
Possiamo sinteticamente dire che il rapporto tra padre e figlio diventa un rapporto tra due generazioni nella misura in cui i ricordi del padre si saldano alle memorie sulle generazioni (quella degli adulti, quella dei figli).
Anche qui elementi della memoria autobiografica di sé e del proprio padre si saldano con la conoscenza dello spirito dei tempi, il tempo in cui il padre era adolescente, il tempo in cui è adolescente il proprio figlio.
Così, nel decidere l'ora del rientro a casa la sera del figlio, il genitore di mezza età non potrà non riferirsi ai propri ricordi sull’ora di rientro a casa quando lui era adolescente e alla propria conoscenza circa l’ora usuale in cui i suoi amici rientravano.
Come si può vedere, fare il genitore con un figlio adolescente è, o dovrebbe essere, soprattutto un gioco di memorie che portano ad entrare e uscire da tutti quei personaggi che costituiscono il canovaccio del rapporto genitore-figlio inteso come rapporto generazionale.
Qui la posizione del cinquantenne è singolare.
Da un lato egli è per lo più giunto all’apice della sua carriera ed occupa una posizione di comando, dall’altra esso sembra con un orecchio volto verso quell’adolescenza alla quale egli deve i suoi ricordi che lo fanno sentire appartenere alla propria generazione.
Possiamo così collocare la relazione fra genitore e figlio all’interno di un dialogo-confronto tra generazioni.
Indubbiamente oggi, e limitatamente alla fascia adulti-adolescenti, questo dialogo-confronto assomiglia sotto certi aspetti ad un’alleanza.



= L’alleanza generazionale nelle famiglie d’oggi =

La generazione più anziana oggi si adopera affinché al figlio siano risparmiati i disagi dell’indipendenza economica, permettendogli di dedicarsi allo studio o alla ricerca di un lavoro migliore.



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Il figlio va via di casa abbastanza tardi, intorno ai trent’anni, andando generalmente a vivere vicino a casa dei genitori o dei suoceri.

Talvolta le famiglie di origine si adoperano per comprare una casa ai giovani sposi (quasi sempre vicina a quella dei genitori dell’uno o dell’altra).

Quando nascono dei figli i nonni sono abbastanza disponibili a venire in aiuto.

Si potrà osservare che questa disponibilità della generazione più anziana verso quella più giovane assume una coloritura un po’ regressiva, come se in tal modo il figlio rimanesse sempre il “cocco di mamma”.

In altri paesi, specie quelli non mediterranei, le cose vanno diversamente.

Per esempio, i figli vanno via di casa circa 7-9 anni prima.

Tuttavia dobbiamo riconoscere che non esiste, ed è bene che non esista, un unico modo per separarsi dalla famiglia, soprattutto perché diverse sono le condizioni economiche del paese in cui la famiglia vive e diverse le tradizioni culturali.

Non c’è dubbio che nell’area mediterranea prevale quella che, in termini un po’ generici e schematici, si chiama cultura “collettivistica”, la quale, a differenza di quella “individualistica” (tipica dei paesi anglosassoni), si fonda su una rete di supporto sociale fornita dallo stato, dai parenti vicini e lontani, dagli amici, ecc. è una rete che permette lo scambio di favori e all’interno della quale tutti diventano in debito e in credito con tutti.

È possibile che l’alleanza generazionale vada compresa alla luce di questa situazione.

Ma vi sono anche altri elementi da considerare.

Per esempio, oggi c’è una certa egemonia della cultura dei padri su quella dei figli.

La cosa può essere sorprendente: canzoni, cantanti, oggetti di culto degli anni Sessanta sono riconosciuti anche dai giovani adolescenti d’oggi come miti propri.

Sono i cinquantenni che, con i loro ricordi del passato e le loro memorie collettive, sono riusciti ad imporre le loro storie alla classe emergente, ai loro figli? Si potrebbe aggiungere che esistono, dall’altra parte, segnali contrari che possono far parlare di un conflitto tra generazioni.




Un brano che fa parte della memoria collettiva
dei coetanei del sottoscritto.... ;)

Gli adolescenti rimproverano ai propri genitori di non fare i genitori, anche di non saper dire di no, di volerli imitare, insomma di non rappresentare l’ “altra generazione”, quella che un tempo si chiamava dei “matusa”, ma che era necessaria all’adolescente per confrontarsi
e riconoscersi separato e diverso. Insomma, il rapporto fra le due generazioni ha oggi una sua specificità che è fatta di aspetti tra loro a volte contrastanti.

Tuttavia noi sappiamo che una generazione è data dall’età, dal periodo della storia e dalle interpretazioni comuni.

Così diventerebbe riduttivo confrontare i cinquantenni con i ventenni o i trentenni senza specificare se quei cinquantenni (come quei ventenni o trentenni) costituiscano una stessa generazione.

E meglio forse sarebbe, sulla scorta di quello che abbiamo detto finora, fare delle distinzioni all’interno dei diversi gruppi sulla base dei tipi di interpretazione prevalenti.

Il punto della questione, tuttavia, sta nel capire che un processo interattivo come quello tra padre e figlio, sul quale si sono spesi fiumi d’inchiostro, non può essere compreso senza il ricorso al concetto di generazione che, come si è visto, si collega a quello di strumenti culturali, memorie collettive e molto altro ancora.



Articolo Originale di
Andrea Smorti



Edited by filokalos - 11/4/2013, 20:43
 
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