Il Forum delle Muse

The Phaidon Atlas of Contemporary World Architecture

« Older   Newer »
  Share  
view post Posted on 5/2/2010, 23:32     +1   -1
Avatar

Super Ñasual Dating - Authentic Maidens

Group:
Magazzinieri
Posts:
1,960
Location:
Usa

Status:


The Phaidon Atlas of
Contemporary World Architecture




L’Atlante dell'Architettura del XXI secolo


Per chi sogna una casa
per fuggire da tutto.
Sulla cima di un albero,
alle porte del deserto.
Al centro delle città.
Gli edifici raccontano
il modo di vedere il mondo.
E di evitare gli altri




Che cosa vuole inconsciamente quando un bambino sogna una casa sull’albero? :hmm:

Fuggire, fantasticare, conquistare una piccola libertà, comandare su uno spazio proprio. :e vai!:

Se alzate lo sguardo, al centro di queste due pagine troverete una meraviglia giapponese, una minuscola casa da tè, una manciata di metri quadri, interamente in legno, appollaiata su due tronchi d’albero come una sentinella a guardia del nulla.
L’ha costruita un poeta dell’architettura, Terunobu Fujimori nel terreno del padre, sulle colline di Nagano.

In quel rifugio minimo, sospeso a pochi metri da terra si riproduce, in termini adulti e filosofici (la cerimonia del tè è un rito dalle profonde radici spirituali nel buddismo zen come nello scintoismo) una variante di quel sogno infantile che s’è detto sopra.

Del resto, se riportiamo tutto a noi, in Occidente, come negare che l’architettura contemporanea, tra le sue infinite funzioni e manifestazioni, contempli anche la fuga dalla realtà verso un mondo libero, incorrotto, ideale?


Il “Phaidon Atlas dell’architettura mondiale del XXI secolo” parla di questo e tanto altro: si tratta di una selezione, pensata a Londra e realizzata grazie a una rete mondiale di critici e informatori, del meglio che si è prodotto nei cinque continenti in questo primo decennio.

Il “Phaidon Atlas” è davvero un'opera "mostruosa": pesa 6,6 chili, ha 800 pagine e 5.500 foto, presentando oltre mille architetture di 653 architetti. Il tutto al costo, ragionevole, di 150 euro. :o no?:





E la cosa che colpisce, per tornare alla metafora iniziale, è che su mille opere le abitazioni private siano 244, e di queste le case isolate, indipendenti, anche visionarie, realizzate nella natura, in paesaggi vergini o vuoti, sono un numero importante.

Dei 32 edifici selezionati in Italia dal “Phaidon Atlas” il più a sud è a Roma: sotto Roma non c’è più nulla.

La cartina d’Italia, a pagina 500, è monca: finisce col Lazio, il Sud non esiste.

Spocchia britannica o Mezzogiorno davvero scadente in architettura? La cosa colpisce.

Anche perché l’Italia, in Europa, non figura male: con 32 opere è al quinto posto, dopo Gran Bretagna (53, si sente l’effetto Londra), Svizzera (47, nazione emergente), Germania (38) e Spagna (idem, ma in calo).

Dopo Renzo Piano il secondo architetto italiano più rappresentato è una donna: Benedetta Tagliabue, che però lavora a Barcellona.

L’immagine mediatica dell’architettura da tempo si concentra sui cosiddetti landmark, o architetture iconiche.

Il Cctv, il centro televisivo cinese di Rem Koolhaas a Pechino, per capirci.




Centri Televisisvi CCTV and TVCC appena finiti


Gli stessi edifici come si presentano adesso dopo alcuni mesi di smog pechinese... :blink:



O la Tate Modern a Londra.




Il rendering della "trasformazione" del TATE Modern di Londra



O uno dei monumenti mondiali all’hi-tech, il Terminal 5 di Heathrow progettato da Richard Rogers, opera pubblica del valore di 5 miliardi di euro, quasi quanto costerebbe il ponte di Messina.




Il progetto del Terminal 5 della stazione di Heathrow, Londra



Ma alla fine, parlando di architettura, si deve pur tornare a ciò che era all’inizio delle umane civiltà: un rifugio organizzato intorno al fuoco, con uno sguardo su un paesaggio o un borgo.
Per i cultori delle gerarchie va segnalato che i sei studi di architettura più rappresentati al mondo sono Foster and Partner e Herzog & de Meuron con dieci edifici a testa, poi Oma (Koolhaas), Sanaa (Kazuyo Sejima), Renzo Piano e John Pawson con sette.




Il McLaren Technology Centre di Woking realizzato nel 2004 dallo studio Foster & partner



Nel “Phaidon Atlas” si è scelto di concentrarsi sul piccolo e sul privato. Sulle case dei sognatori e fuggitivi, le case del ritorno alla natura. La fuga, la fuga dell’adulto, non è solo una metafora. I committenti di queste case in luoghi isolati, a volte drammatici, sembrano dirci: fuggiamo dalla massa, dal rumore, dall’inquinamento, dalla bruttezza e insania della vita urbana.




L'Hotel di Marqués de Riscal, 2007, Elciego, Spain, architetto:Gehry Partners




Sia che ci si riferisca a una città europea e borghese come Parigi o Madrid; sia che si fugga da una megalopoli in tumultuoso sviluppo, da Seul o Città del Messico; sia che la scelta di abitare nella natura emerga da scelte culturali profonde, in nazioni a bassa densità antropica, come avviene in Scandinavia o in Australia.




La casa dell'orchidea, 2006, Medellín, Colombia, architetti: Plan B Architects con JPRCR Architects




Holman House, 2005,
Sydney, Australia.
Architetti: Durbach Block

Le vie di fuga verso la felicità abitativa sono così tante che non si sa da dove cominciare.

Piace l’oceano? Ecco la Holman House nel New South Wales in Australia, protesa con gesto scultoreo 70 metri sopra la scogliera che scende verso le acque del Pacifico, con soggiorno e veranda aperte da finestrone panoramiche, ma con l’uso della pietra e la curvatura della terrazza a cercare protezione dal vento.

Perché la natura è, come la guerra, «bella ma scomoda», e l’architetto accorto parte sempre dall’orientamento rispetto a luce e clima.

Piace la foresta? Il refugium nella verzura lussureggiante?
La casa su Waterfall Bay, in Nuova Zelanda, di Pete Bossley Architects, è un dialogo tra l’insenatura marina e la collina boscosa alle spalle, poggiata su palafitte in eucalipto come a scavalcare la forza meravigliosa degli alberi.

L’orientamento è rivolto alla cascata e alla baia che dà il nome alla località.





La Lotus House
di Kengo Kuma



Mentre in Giappone, in un modello abitativo fondato, al contrario, su un principio d’ordine (casa e giardino, acque ferme, fiori di stagno, sassi di fiume) è emblematica la ormai notissima Lotus House di Kengo Kuma, con la facciata permeabile giocata sull’effetto di scacchiera bianca e nera.

Poi c’è la fuga nel paesaggio estremo. La metafora della frontiera, o del deserto, tipica della cultura americana degli Stati dell’Ovest. Un buon esempio è la Tubac House in Arizona, nel deserto di Sonora.



È una casa con laboratorio annesso, dell’architetto Rick Joy.
I materiali sono sorprendenti, come l’acciaio Corten che riveste le pareti esterne, porte e finestre intelaiate sempre in acciaio.
Il Corten è usato in una tinta color terra, a ottenere un effetto mimetico, come il corpo della casa è ricavato nel fianco di un colle, e la piscina dove c’immaginiamo un’Angelina Jolie sorseggiante un daiquiri, per una volta libera da fardelli famigliari, è rivolta al deserto, quando il deserto è amico.




La Tubac House




Il “Phaidon Atlas” racconta di molto, molto altro. L’edificio più a nord è un centro di ricerca sulle isole Svalbard. Il più meridionale un albergo nella Terra del fuoco cilena.

Entrambi terra di foche. In mezzo c’è di tutto, da un’icona pop come lo Stadio Olimpico di Pechino alle rarefatte Terme di Merano di Matteo Thun.

Ma le case di chi fugge, per i più vari motivi, hanno oggi, in un mondo sovrappopolato, avvelenato, percorso da nuovi schiavi, insanguinato da conflitti, tormentato da tensioni nuove un’attualità che turba e non si può ignorare.





Articolo Originale
di
Enrico Arosio

Edited by filokalos - 8/2/2010, 19:07
 
Contacts  Top
0 replies since 5/2/2010, 23:32   1628 views
  Share